Lo
scienziato Samuel W. Alderson è recentemente scomparso
alletà di 90 anni a Los Angeles. Anche se la
maggior parte di noi non ha idea di chi fosse, è
a questuomo che migliaia di persone devono la vita.
Tanti, tantissimi sono infatti gli incidenti stradali che
ogni anno vedono coinvolte automobili e che, grazie allo
sviluppo della sicurezza attiva e passiva, hanno esiti non
mortali.
Nello
studio della sicurezza in automobile Alderson ha scritto
una pagina molto importante. Fu lui che per primo iniziò,
negli anni cinquanta, a mettere a punto manichini snodati
che, evoluti e tecnologicamente avanzati, oggi sono comunemente
utilizzati da tutte le case automobilistiche mondiali per
i crash test, ovvero per le simulazioni di incidenti
stradali.
I
primi esperimenti furono avviati nel 1952 per lindustria
aerospaziale con la costruzione di un manichino antropomorfo
del peso di circa 90 kg, senza struttura pelvica e con una
articolazione spinale limitata, che venne utilizzato come
surrogato dei piloti militari nelle prove di espulsione
dalla cabina degli aerei. È curioso segnalare come
da un rapporto del 1997 dellaeronautica militare,
i cosiddetti extraterrestri individuati nei
pressi di Roswell in New Mexico fossero in realtà
manichini lanciati da palloni per grandi altezze.
Gli
esperimenti attirarono anche linteresse dellindustria
automobilistica nellambito delle ricerche sulla sicurezza
in caso di incidenti stradali, ricerche avviate già
negli anni trenta in cui, però, non era facile trovare
soggetti che, volontariamente e dietro compenso, fossero
disposti a rischiare la vita in simulazioni di incidenti
messe in atto per verificare gli effetti dellimpatto
sui diversi organi e sulle diverse parti del corpo.
Così,
pur senza documentazioni ufficiali che lo comprovassero,
si iniziò a vociferare di saltuari utilizzi di cadaveri,
fra discussioni e polemiche che si sono protratte fino ai
giorni nostri e con le smentite di tutte le case automobilistiche
che hanno sempre negato di aver messo in atto tali macabre
pratiche. Questo fino al documento pubblicato dalla General
Motors (www.gm.com) che, con un lungo racconto di uno scienziato
di nome Mertz, ammette di avere utilizzato in passato corpi
umani senza vita per misurare le forze dimpatto
nei crash test di alcune vetture.
Alla
dichiarazione della General Motors ha poi fatto seguito
la notizia che lUniversità di Graz, in collaborazione
con il locale istituto di medicina legale, negli anni 90
avrebbe utilizzato una ventina di cadaveri per sviluppare
una serie di test sul movimento di testa e collo durante
le collisioni tra veicoli. Largomento è stato
così sdoganato, tanto che è oggi
cosa certa che i morti sin dagli anni 30/40
venivano messi sulle vetture e lanciati contro ostacoli
fissi a velocità variabili. Queste cavie senza vita
hanno addirittura un nome tecnico, PMHS, ovvero
Post Mortem Human Objects.
Diviene
lecito domandarsi se, dopo un primo istintivo rifiuto di
tale pratica, questo sia veramente un criterio di sperimentazione
da denunciare. Da una indagine del Los Angeles Times si
evince che lUniversità locale dispone ogni
anno di 175 cadaveri per la ricerca, disponibilità
che ha origine fino dagli anni 50. Ricordiamo inoltre
che ogni anno migliaia di persone concedono la disponibilità
del proprio corpo dopo la morte; è evidente che questi
corpi vengono utilizzati per molteplici scopi e vengono
sottoposti ad esperimenti che spesso hanno risultati e conseguenze
per il cadavere ben più devastanti di quanto non
accada con i crash test.
Tornando alla sperimentazione in campo automobilistico e
dei trasporti in generale, pur ottenendo dati interessanti
le informazioni derivanti dallanalisi dei cadaveri
dopo limpatto risultavano ogni volta differenti in
quanto, variando la corporatura, letà e le
cause di morte dei deceduti, variavano anche i risultati:
ciò rendeva impossibile la comparazione scientifica
dei dati raccolti. Inoltre trattandosi di cadaveri (e quindi
deteriorabili), questi ultimi non potevano essere sottoposti
a test prolungati, tanto più a seguito di esperimenti
con impatti violenti che portavano i corpi senza vita a
fratture o mutilazioni.
Lidea
di Alderson di creare manichini dallaspetto umano
da utilizzare per questi esperimenti fu vista dallindustria
automobilistica come una soluzione geniale, oltre che maggiormente
etica, da sviluppare ed applicare ai test. Dopo più
di quindici anni di esperimenti nel 1968 la società
Alderson Research presentò Vip, il primo
manichino espressamente pensato per essere utilizzato nella
sperimentazione automobilistica. Al suo interno trovarono
posto una cassa toracica simile per peso e caratteristiche
a quella umana, collo e spina dorsale flessibili, nonché
strumenti elettronici e meccanici per la raccolta dei dati
relativi allimpatto. A Vip seguirono Hybrid
Uno, approntato dalla General Motors sulla base del
manichino di Alderson, e il modello di una società
rivale, la Sierra Engeneering. Nel 1973 venne poi creato
Hybrid Tre che a più di trentanni
di distanza resta la cavia standard tuttora utilizzata
dallindustria automobilistica mondiale. Hybrid
Tre, soprannominato Dummy, è prodotto
ad immagine e somiglianza della tipica famiglia americana,
ovvero nella versione padre, madre e bambini di due,
sei e dieci anni.
Negli
anni lidea di utilizzare manichini tecnologici
è stata esportata ed ha trovato ottime applicazioni
anche in altri ambiti quali, ad esempio, quello medico.
Il
centro Simulearn di Bologna, la prima scuola di pratica
operatoria in Italia che utilizza androidi in grado di simulare
patologie e di attuare reazioni simili a quelle umane, è
una struttura privata che offre i suoi corsi ai medici del
servizio pubblico ed agli specializzandi. In questa moderna
struttura è possibile fare pratica su androidi che,
debitamente programmati per simulare situazioni di emergenza
ed imprevisti, hanno un innegabile vantaggio: se qualcosa
va storto si può tornare indietro e correggere lerrore.
Loperazione sul manichino è estremamente
realistica ed il coinvolgimento emotivo su chi opera è
grande, dichiara la docente di simulazione chirurgica
Giovanna Abate. Infatti il manichino, grazie al sofisticato
software interno, ha tutte le caratteristiche e le reazioni
di un essere umano, ovvero respira, tossisce, si lamenta,
geme, sanguina quando si sbaglia ed il suo cuore batte come
se fosse vivo.
Grazie
al software i docenti possono decidere cosa fargli capitare,
ovvero una embolia, un infarto, una crisi respiratoria o
qualche altra patologia che i corsisti dovranno imparare
a gestire con successo come se si trattasse di un paziente
in carne ed ossa.
Il
Prof. Luciano Gattinoni, primario anestesista al Maggiore
di Milano, ha confermato la validità di simili strumenti
per imparare a gestire anche le difficoltà che intervengono
durante le operazioni. Nella realtà può
accadere che mentre un paziente è sotto i ferri scoppi
un incendio in ospedale. Il software prevede questa ed altre
situazioni di emergenza. Allallievo potrebbe capitare
di dover continuare ad operare in situazioni critiche quali,
ad esempio, quelle di blackout. Non dimentichiamo che lo
scopo di questi simulatori è anche quello di preparare
i medici a gestire eventi rari e gravi che fortunatamente
capitano due/tre volte in una intera carriera. E quando
accadono è doveroso essere preparati e pronti.
Nel
caso di imperizia delloperatore, così come
nella realtà, il cuore del manichino può cessare
il proprio battito. Solo che in questo caso non è
necessario chiamare limpresa funebre di fiducia. È
sufficiente riavviare il programma.