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Cose dette e sentite al Sefitdieci


Anche quest’anno Sefit ha organizzato un incontro di carattere nazionale con l’intento, almeno secondo quanto dichiarato in fase di apertura dei lavori degli organizzatori, di evidenziare i principali problemi del settore e di discutere le possibili soluzioni.

L’evento si è tenuto a Torino il 14 e 15 dicembre 2006 e ha visto impegnati molti relatori. In apertura gli interventi, interessanti e significativi se non altro per comprendere politiche e progetti del settore pubblico, di Guido Cace, Vice Presidente Federutility e di Daniele Fogli, responsabile Sefit, cui si sono succeduti i rappresentanti di due istituzioni pubbliche, Luigi Balladore del Comune di Milano e Roberto Burchielli del Comune di Genova. Al convegno hanno apportato il proprio contributo anche esponenti di alcune imprese funebri pubbliche quali l’Afc (Torino), Acegas (Trieste), Vesta (Venezia), Asef (Genova), Amsefc (Ferrara), Ama (Roma), Ade (Parma) e Hera (Bologna). Sono inoltre intervenuti autorevoli relatori quali Giorgio Stragliotto, don Paolo Tomatis docente di Liturgia alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Vitaliano De Salazar di Ares 118 Lazio, Tom De Alessandri Vice Sindaco di Torino, Giovanni De Luna docente di Storia contemporanea all’Università di Torino, nonché Gabriele Righi, Antonio Dieni e Sereno Scolaro che hanno riassunto nella fase conclusiva del convegno, i risultati delle diverse sessioni tematiche trattate.

Sul fronte associazionistico erano presenti Bruno Massimo Albarelli della Fic, il Presidente Renato Miazzolo e il Segretario Alessandro Bosi di Feniof, il Past President Piero Maurizio Zaffarano e il Segretario Nazionale Giovanni Caciolli di Federcofit.

Molti argomenti trattati: fra questi cimiteri e sepolture, anche da un punto di vista architettonico, e la cremazione, sulla quale, però non è stato rilevato che una delle principali motivazioni per le quali i cittadini optano per tale pratica consta nella maggiore economicità derivante dal fatto di non dovere acquistare un nuovo loculo!). Si è parlato di leggi e regolamenti, nonché dell’attività funebre da un punto di vista “pubblico” e “privato”, dando voce ai rappresentanti delle diverse associazioni presenti.

Particolarmente significativo il discorso di Guido Cace che ha posto l’accento sulla riforma dei servizi pubblici locali evidenziando, a chiare e marcate lettere che, secondo Federutility Sefit, tale riforma comporterà una grande sfida per lo Stato e gli enti locali: “i servizi pubblici dovranno essere gestiti coniugando efficienza con solidarietà, qualità con economia dei costi, istituzione e mercato”.

Partendo da una analisi, secondo noi riduttiva, sui servizi funebri e cimiteriali Cace ha esternato alcune problematiche relative al settore pubblico, tra le quali la difficoltà nel procedere con le necessarie assunzioni di personale, il contenimento delle risorse a livelli spesso insufficienti a garantire qualità di servizio adeguate, tra gli spazi di crescita tariffaria limitati. Cace ha dichiarato che “anche il settore funebre privato, produttoriche e imprenditoria funeraria, si sta avvitando sempre più verso il nanismo” e che “servono urgenti soluzioni per limitare i danni”.

Le proposte di Federutility Sefit sarebbero: gestioni in economia nei medi e grandi Comuni di imprese pubbliche nel settore cimiteriale e aggregazione ad esse dei servizi necroscopici; creazione di una rete adeguata di crematori sul territorio italiano, dove le imprese sappiano investire anche laddove la cremazione è ancora all’albori; aggregazione di imprese funebri pubbliche e successivamente apertura, se sussistono le condizioni, al capitale privato, per farne imprese miste capaci di coniugare il giusto prezzo con la qualità del servizio all’utenza; attenzione all’espansione nei mercati esteri, trovando se possibile, alleanze; svecchiamento del sistema normativo, per adeguarlo a standards europei.

Fatte salve tali proposte, Cace ha poi lamentato, come d’altronde Feniof, il sensibile aumento del numero di operatori funebri nell’ultimo decennio e denunciato i conseguenti effetti negativi, anche di natura etica.

Cace ha poi proseguito con alcune esternazioni conclusive che, non solo non possiamo condividere, ma che non crediamo possano risultare finalizzanti e positive per la soluzione delle diverse problematiche: «La cittadinanza vuole trasparenza nel mercato funebre.Le imprese funebri pubbliche, quando videro la luce all’inizio del secolo scorso, avevano due parole d’ordine: moralizzare e calmierare. Mai come in questo periodo si conferma la modernità della originale “mission”. E lo possiamo fare insieme, pubblico e privato, studiando riforme di settore capaci di portare in primo piano l’etica e la moralità nei servizi funebri. »

A nostro avviso sarebbe stato meglio che tutti, istituzioni e associazioni di categoria pubbliche e private, avessero congiuntamente appoggiato il testo del disegno di legge S.3310, non approvato nella passata legislatura, che avrebbe avviato quel processo di qualificazione e di professionalizzazione del settore che tutti auspicato.

Si sarebbero avviati processi di “pulizia” dal settore da tutti quei soggetti che creano distorsioni e turbative di mercato, sciacallaggio, procacciamento indebito dei servizi in aree non consone (ospedali, obitori, ..) e si sarebbero potuti garantire diritti uguali in tutte le regioni italiane. Evidentemente però, alcune disposizioni del disesgno di legge sono state ritenute penalizzanti da parte del settore pubblico che, forse, ha temuto di perdere il monopolio su cimiteri e crematori, tutt’ora elemento di principale ripianamento dei negativi bilanci di molte imprese funebri pubbliche. E infatti la successiva esternazione di Cace su cimiteri e crematori ha ulteriormente confermato questo nostro dubbio: «Sbaglieremmo a considerare queste attività come accessorie, trascurabili, non strategiche e facilmente cedibili ai privati. Le Amministrazioni comunali possono contare sullo strumento dell’imprenditoria pubblica per dare risposte coerenti alla domanda di servizio che proviene dalla collettività».

Di tutt’altro avviso la posizione di Feniof esternata dal Presidente Renato Miazzolo con il proprio intervento che, per completezza di informazione, riteniamo opportuno pubblicare interamente:

«A più di quindici anni dall’emanazione del Regolamento di Polizia Mortuaria DPR 285/90 stiamo vivendo un momento di particolare fermento per quanto concerne l’evoluzione normativa nel settore funerario. Le prime regioni italiane ad esprimere concretamente il desiderio di aggiornare le norme che regolamentano la complessa ed articolata attività funebre, sono state Lombardia ed Emilia Romagna attraverso proprie leggi e regolamenti . Altre regioni italiane, quali Marche, Toscana, Piemonte, Umbria, Val d’Aosta e Campania, sulla scorta della cosidetta. devolution, hanno emanato proprie leggi o deliberazioni regionali esprimendosi su vari aspetti connessi all’attività funebre, in particolare rispetto alla pratica della cremazione.

Da questa rapida e certamente non esaustiva sintesi dell’attuale situazione normativa italiana emerge comunque una prima, grande problematica di fondo: l’assenza di una legge quadro nazionale che riformi il settore funebre e cimiteriale.

Il testo legislativo, in realtà, esiste ma il termine temporale, e non solo, della passata legislatura non ha consentito a tale disegno di legge di terminare il proprio iter d’approvazione in Aula e divenire legge dello Stato.

Purtroppo l’Italia è uno di quei paesi dove i disegni di legge, anche se buoni, presentati nell’ambito della precedente legislatura non vengono proseguiti dalla subentrante, vanificando tutto il lavoro e gli sforzi fatti da tanti e variegati soggetti, tra i quali FENIOF, per dotare il nostro paese di una normativa chiara, innovativa e qualificante per tutto il settore funebre e cimiteriale.

Nell’ambito del S.3310, seppur perfettibile, erano state inserite definizioni e disposizioni importanti, quali la salvaguardia della libera concorrenza e la regolamentazione del mercato (ad esempio l’incompatibilità tra chi esercita l’attività funebre e chi gestisce i cimiteri o i servizi mortuari ed obitoriali), l’introduzione di nuove attività e servizi come l’importante definizione dell’ “attività funebre”, le norme di regolamentazione di pratiche connesse alla cremazione quali la dispersione e conservazione delle ceneri, la possibilità di utilizzare strutture innovative, per il nostro paese, quali le sale del commiato ed altro ancora, che avrebbero consentito di uniformare le variegate situazioni regionali garantendo eguali diritti ad ogni cittadino italiano.

Nulla si è fatto, perdendo un’altra occasione.

In questi giorni si sta parlando di una nuova legge di riforma dei servizi pubblici locali volta a modificarne le attuali forme di gestione, aprendo il mercato a nuovi operatori anche privati. Nonostante però decenni di sperperi di importanti risorse, di cui il ns. Paese avrebbe oggi forte bisogno; di quotidiani esempi di inefficienti e fallimentari gestioni pubbliche, che, con insana cocciutaggine, si sono voluti “tenere a galla” tra un buco di bilancio e l’altro, qualcuno ancora sembra non volersi convincere dell’inderogabile necessità di cambiare sistema. Lo Stato, in tutte le sue forme, per definizione, non è e non può essere imprenditore; così come il fare impresa, sana e competitiva, non può avere nulla a che vedere con il monopolio.Non si può fare “buona” impresa senza un “buono” Stato; non si può creare efficienza instaurando monopoli. Troppo Stato o troppa impresa, essendo gli uni naturali contrappesi degli altri, sbilanciano il sistema producendo quelle distorsioni, peculiari della nostra Italia, in cui lo Stato si sostituisce all’impresa e, viceversa, l’impresa (pubblica) si vorrebbe sostituire allo Stato.

Il nostro settore è ed è stato un chiaro esempio di tutto ciò e di come la privatizzazione abbia spesso significato passare la gestione da una forma di statalismo all’altra, “cambiando l’etichetta ma non il prodotto”, spesso con troppa disinvoltura e finanche noncuranza delle Leggi. Conseguenze ed effetti di queste scelte sono, purtroppo, a tutti evidenti: aumento di costi e tariffe (vedi acqua, gas, rifiuti, cimiteri e crematori), disservizi, clientelismo, senza però produrre reali benefici in termini di efficienza, qualità e concorrenza.

Lo Stato s.p.a. è sul viale del tramonto. I suoi soci, i cittadini, non sembrano più essere disposti a pagarne quotidianamente l’inefficienza.

Imparare dagli errori del passato per pensare a strategie future, a ns. avviso, dovrebbe allora voler significare una libera gestione, affidando alle aziende quei servizi, oggi falsamente privatizzati, oggetto di comuni regole di mercato.

Gli imprenditori giocano, lo Stato arbitra; non potrebbe essere viceversa: se lo Stato oltre che arbitrare volesse anche giocare, allora falserebbe la partita e tutto il campionato ne risentirebbe. E la realtà dei fatti lo dimostra.

Per contro, libera impresa in libero mercato è uno slogan da pronunciare con giusto timore e ponendo molta attenzione al concetto di libertà sia dei diritti sia dei doveri.

Se dunque servizio pubblico non può più ed ancora significare servizio fornito dall’ente pubblico, il pubblico servizio deve però mantenere le sue prerogative di interesse della collettività e pertanto essere giustamente regolamentato.

Il nostro convincimento è quindi tanto quello di abolire il monopolio pubblico quanto quello di non affidare alla legge della giungla l’espletamento di servizi di pubblica utilità.

Per una corretta crescita e qualificazione del nostro settore, crediamo allora che non si possa permettere che tali servizi vengano svolti da chiunque indiscriminatamente senza regole e magari senza scrupoli. Crediamo non basti partecipare e vincere gare di appalto all’estremo ed incredibile ribasso, fatte con la scusante di un finto risparmio per il cittadino, che a lungo andare si traduce invece in un danno per tutti, restando poi il monopolista unico interlocutore dell’ente pubblico.

Crediamo invece bisogni pensare a come regolamentare questi servizi in modo che chiunque lo desideri possa espletarli offrendoli liberamente sul mercato ma in modo corretto e consono all’attività prestata. Questo è il concetto alla base delle nostro proposte.

Per il nostro settore che ha lottato per anni al fine di giungere ad una liberalizzazione di quei servizi inefficienti che non ci permettevano di crescere perché gestiti in monopolio da altri, riteniamo che una buona legge che riformi giustamente i servizi pubblici locali, senza estremismi o preconcette posizioni ideologiche, sia una grande opportunità da cogliere, per tutti e senza indugio, anche se con qualche sacrificio in termini di riorganizzazione aziendale o attribuzione di nuovi ruoli o competenze.

Se volessimo veramente cambiare le cose dovremmo richiedere maggiore trasparenza e professionalità per tutti, senza false ipocrisie o pregiudizi dettati da luoghi comuni.

In questo momento in cui si sta legiferando in diverse regioni italiane sulla regolamentazione di questi servizi, di fatto orientandoli ad una gestione privata, riteniamo ci sia ancora qualcuno che non abbia ben compreso la portata che queste norme avranno per le nostre aziende e per il nostro futuro.

Sulla scorta delle attuali normative regionali di Lombardia ed Emilia Romagna si continua ancora oggi a discutere sui requisiti necessari per svolgere l’attività funebre, lamentando che tali disposizioni potrebbero andare a discapito di quelle aziende che, pur non disponendo di nulla, vorrebbero continuare ad operare nel mercato come erano abituati a fare sino ad oggi. I tempi sono però cambiati e così deve cambiare il modo di gestire e di essere impresa nel nostro settore poichè le opportunità di cui stiamo discutendo necessitano di investimenti e capacità notevoli, che solo aziende competitive possono avere e trovare in mercato improntato alla legalità.

A questo punto bisogna allora distinguere tra chi desidera progredire e chi non vuole. Tra chi desidera cambiare e chi invece vuole pervicacemente conservare il proprio status quo, pubblico o privato che sia.

Non siamo e non vogliamo più essere venditori di casse da morto, ma prestatori di servizi qualificati, ai quali i cittadini si rivolgono per l’organizzazione e l’esecuzione di una delicata, complessa e articolata prestazione quale oggi è richiesta per svolgere un funerale. Il servizio funebre non è il solo trasporto funebre o la solo fornitura del cofano o il solo disbrigo delle pratiche amministrative come qualcuno vorrebbe semplicisticamente riassumere e regolamentare, ma è congiuntamente tutto questo ed altri servizi ancora ( la preparazione della cassa, la vestizione, l’adagiamento del corpo nel cofano, l’identificazione del defunto e la sigillatura del feretro, la predisposizione della camera ardente, la sala del commiato, etc) che partono dal momento della morte alla sepoltura di una persona e che le imprese funebri devono poter e saper svolgere nella propria autonomia e interezza, senza dover necessariamente ricorrere alle forniture di terzi.

Solo così i cittadini, i ns. clienti, potranno nuovamente tornare a rivolgersi con fiducia, in piena conoscenza della professionalità e dei servizi resi da ognuno, sapendo chi fa cosa e chi fa come.

Certo, sappiamo, la trasparenza non gioverebbe a tanti o qualcuno e lo sforzo richiesto di maggior regolarità sul piano fiscale, di rapporti di lavoro dipendente, di comunicazione aziendale e professionalità organizzativa, non è una politica volta alla ricerca del consenso di tutti. E’ però la strada che noi riteniamo unica percorribile per dare futuro e dignità alle nostre aziende, portando il settore a standards di livello europeo, senza correre il rischio che in un futuro ormai prossimo ci si ritrovi a dover “piangere sul latte versato”.

Per imboccare questa strada, che non solo vuole essere percorsa dal settore che noi rappresentiamo ma anche da larga parte della società italiana, occorre però uno sforzo comune, anche del mondo pubblico, per creare quelle condizioni di sistema, tradotte in leggi e controlli, necessari ad identificare in modo chiaro e netto ruoli e competenze, rompendo quella catena “di Sant’Antonio” per cui tocca sempre ad un altro ed alla fine non tocca a nessuno.

Un’ ulteriore possibilità imprenditoriale viene oggi offerta al settore privato. Tutto sta nel comprendere l’importanza e la portata che un nuovo sistema potrebbe dare a tutti, aziende ed istituzioni comprese.»

Forte messaggio e forti contenuti. Con qualche provocazione. Ci saremmo attesi obiezioni o domande in merito all’intervento di Miazzolo in netta controtendenza con quanto sentito nell’arco delle sessioni tematiche precedenti. Invece nulla, nessuna obiezione, nessuna controbattuta, nessuna polemica da parte del pubblico. Tale silenzio, spiegabile forse con la stanchezza derivante dall’intensa giornata di convegno, è stato poi rotto da un rapido intervento di Daniele Fogli che ha proposto di convogliare pubblico e privato su posizioni univoche per far approvare un testo di legge nazionale di regolamentazione del settore. Si deduce che le nostre posizioni e quelle di Sefit Federutility sono dinanzi ad uno scoglio di non poco conto e che su simili premesse non sarà facile su univoche posizioni.

Il convegno si è poi concluso con il contributo dell’Onorevole Gianni Mancuso che ha palesato la presa di coscienza del nostro mondo politico circa “l’esigenza di una normativa di settore aggiornata”. Ma queste parole, pur positive, non ci sono nuove e onestamente suonano come una canzone troppo a lungo ascoltata. Sono anni che, con governi di diverso colore e per bocche di politici differenti, vengono pronunciate con le medesime convinzione e determinazione.

Non possiamo non rilevare come a tutt’oggi, dopo tanto tempo perso e dopo avere diffusamente illustrato i molteplici aspetti positivi del testo del S.3310) i nostri politici non pensino a riprendere tale testo, già pronto!

Secondo noi questa sarebbe la strada più breve e più concreta per dimostrare la veridicità delle tanto proclamate intenzioni da parte della nostra classe politica di dotare il nostro paese di una normativa aggiornata ed a tutela della collettività. O no?